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Anortoscopio di Plateau

L’anortoscopio (dal greco”anorthό”, raddrizzo e “skopéό”, guardo) è un apparecchio ideato dal fisico belga Josèph Plateau a metà dell’800 nell’ambito delle sue ricerche sulla persistenza delle immagini sulla retina oculare che segnerà una svolta fondamentale nella storia del Pre-cinema. Traiamo dalle parole stesse dello studioso una descrizione dello strumento e del suo utilizzo durante una seduta dell'accademia reale di Scienze e letteratura di Bruxelles del 9 gennaio 1836. Il fisico affermava si trattasse di un nuovo genere d’anamorfosi di cui aveva dato l’idea per la prima volta nella dissertazione universitaria stampata a Liegi nel 1829. L’anortoscopio si compone essenzialmente di una serie di dischi molto sottili sui quali sono rappresentate delle figure deformate, di un disco di cartone nero inciso da varie fessure, da uno strumento formato da una grande puleggia a gola doppia che trasmette il movimento a due pulegge piccole di diametri differenti, posizionate su un asse comune. Quando si vuole fare uso dell’apparecchio si attacca il disco nero su quella delle due pulegge piccole che si trova sulla parte anteriore dello strumento, cioè dal lato della manovella, si attacca sull’altra piccola puleggia uno dei dischi semi-trasparenti, poi si illumina fortemente quest’ultimo disco da dietro tenendo gli occhi all’altezza delle piccole pulegge, e un’altra persona fa muovere la manovella. Allora i dischi, anche se in realtà girano molto velocemente sembrano perdere il loro movimento, e le figure deformate si tramutano in disegni perfettamente regolari. Il principio sul quale riposa questo genere d’illusione è ancora la persistenza dell’impressione retinica. La figura “anamorfizzata” viene rappresentata in curva su un disco che gira rapidamente, il disco dipinto di nero e forato con quattro fessure disposte a croce gira in senso inverso molto più lentamente. Se ci si mette davanti all’apparecchio di fronte al disco nero il disegno risulterà regolare e leggibile, la figura regolare deriva dalle intersezioni successive dell’otturatore con le differenti parti della figura deformata, intersezioni che la persistenza delle immagini fa apparire simultanee.

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